Francesco
Borromini (1559 -1667) è il grande avversario del Bernini; con la propria opera
ne contesta, punto per punto, la poetica universalistica.
SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE
Il complesso monumentale di San Carlo alle Quattro Fontane, posto all'incrocio tra via Quattro Fontane (antica strada Felice) e via del Quirinale (antica via Pia), è unanimemente riconosciuto come il capolavoro del Borromini ed il gioiello del barocco romano. L'angusta dimensione del sito e la sua irregolarità rendeva particolarmente delicato l'accordo tra la sua volontà di sperimentare la portata rivoluzionaria della sua concezione architettonica e l'intenzione di non tradire le aspettative della committenza in merito ad una perfetta funzionalità della committenza dal punto di vista distributivo.
Il primo ad essere costruito fu il convento (1634 - 35): lo stretto corpo di fabbrica servito da una scala a chiocciola e affacciato su un ampio giardino interno, comprendeva un primo livello occupato da ambienti collettivi (refettorio, cucina e locali igienici), due piani superiori destinati alle celle monastiche e un ultimo piano adibito a biblioteca con annesse logge laterali.
Nel 1635 - 36 furono costruiti il Chiostro e l'ala conventuale prospiciente via del Quirinale che al piano terreno accoglieva l'ampio vestibolo ed ai piani superiori, accessibili tramite una scala a chiocciola, la Sala Capitolare, l'ambiente del guardaroba ed una soffitta.
Negli anni tra il 1638 ed il 1641 si affrontò il complesso cantiere di costruzione e finitura di Cripta, Chiesa, cappelle del Nazareno e Barberini. Furono anche completati gli ambienti adiacenti destinati alle funzioni liturgiche (sagrestia al piano terreno e ambiente del coro soprastante).
“La scenografica facciata, ultima realizzazione dell’architetto, presenta un andamento continuo, convesso al centro e concavo ai lati, che si propaga nei due ordini, ricchi di ornamenti e tripartiti da colonne; in ogni comparto un ordine minore divide lo spazio in due piani. Sopra il portale, nicchia con statua di san Carlo Borromeo di Antonio Raggi. Originali sono il coronamento a balaustra, dove due angeli in volo sorreggono un medaglione ovale con affresco e la cupola ellittica con lanterna a nicchie concave. Sul lato sinistro è il campanile, con cella campanaria ad andamento concavo convesso e copertura a cuspide.
L’interno della Chiesa, di piccole dimensioni, è una delle prime realizzazioni del Borromini: bianco e privo di dorature, ha impianto ovale , con nicchie raccordate da colonne corinzie alveolate che seguono la parete e sorreggono una trabeazione continua. La cupola ovale presenta lacunari in stucco cruciformi, esagonali e ottagonali. Sull’altare maggiore campeggia la Trinità, di Pierre Mignard. Nella cappella sinistra Riposo nella fuga in Egitto di Giovanni Francesco Romanelli; nella sagrestia, San Carlo Borromeo in adorazione della Trinità di Orazio Borgianni.
Sulla sinistra dell’ingresso si accede alla Cripta, di pianta uguale, ma più compressa, con volta su pilastri.
Accanto alla Chiesa si trova il Chiostro, capolavoro di armonia e proporzione, su due ordini con pianta ottagonale ad angoli convessi; colonne binate sorreggono al piano inferiore archi e, in quello superiore, la loggia caratterizzata da balaustri, alternativamente dritti e rovesci.”
SAN GIOVANNI IN LATERANO
,
Quando, nel 1646, Borromini viene incaricato di restaurare in
tutta fretta la basilica per il Giubileo del 1650, si trova alle prese con un
grande spazio, di cui non può alterare né le misure, né il perimetro. Chiude le
antiche mura come in una teca, sfrutta la luminosità del vano per dare valore
ai diaframmi chiarissimi delle pareti e alla decorazione elegantissima che li
adorna, quasi fingendo che i fedeli abbiano adornato di palme e di fiori la
chiesa nel giorno della festa.
PALAZZO SPADA
Tra il 1652 e il 1655, Borromini realizza a Palazzo Spada, in piazza Capodiferro, la galleria prospettica, che è una delle opere più fortunate della sua carriera. Magico è l'effetto prospettico, che l'artista inventò , costruendo un colonnato in un piccolo atrio del palazzo del cardinale Bernardino Spada, tra via Giulia e piazza Farnese. Tutta la composizione è racchiusa in uno spazio inutilizzabile, se non come ripostiglio. La galleria è lunga otto metri e 60 centimetri; in realtà essa raffigura una galleria di oltre trenta metri, cioè riesce a moltiplicare per più di tre volte la sua dimensione di profondità.
SANT'AGNESE IN AGONE
Sul lato ovest di piazza Navona spicca la chiesa di Sant'Agnese in Agone, sorta tra il sec. VIII ed l 1123 nell'area venerata come luogo del martirio della Santa. L'attuale costruzione fu iniziata da Girolamo Rainaldi nel 1652 sotto Innocenzo X Pamphilj. Il Rainaldi che diresse i lavori insieme al figlio Carlo progettò un edificio a pianta centrale a croce greca con cupola senza tamburo, preceduta da un vestibolo e grandi nicchie nei pilastri all'incrocio dei bracci; la facciata rettilinea doveva essere collegata alla piazza da un'ampia gradinata. Il 3 settembre 1652 iniziarono i lavori della vecchia Sant'Agnese.
Nel 1653, dopo insistenti pressioni, soprattutto a causa della gradinata, il Rainaldi fu sostituito da Francesco Borromini (1653-57). Questi predispose un nuovo progetto, che eliminava il vestibolo, arretrando nella zona centrale una concavità che accogliesse una breve scala dal profilo curvilineo. Ai lati, due bassi campanili dal profilo convesso nella parte inferiore e concavo in quella superiore, non dovevano ostacolare la vista della cupola, sostenuta da un ampio tamburo. Dall'agosto 1653 al dicembre 1654 i lavori procedettero celermente, ma furono presto rallentati dalla morte del pontefice (7 gennaio 1655). Il nuovo pontefice Alessandro VI nominò una commissione per valutare il lavoro di Borromini che nel 1657, prima di essere licenziato si dimise. Fu richiamato Carlo Rainaldi per portare a termine la costruzione e naturalmente modificò ancora il progetto. I campanili gemelli, su disegno di Borromini, e il rivestimento della cupola furono realizzati da Giovanni Maria Baratta. Fu coinvolto anche Bernini che apportò ampie modifiche all'interno.
SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE
L'INTERNO
Di Orazio Borgianni - wikipédia italienne, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3049083
IL CHIOSTRO
L'ORATORIO E IL CONVENTO DEI FILIPPINI
Progetto per l'Oratorio dei Filippini
LA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO
SANT'IVO
PALAZZO SPADA
SANT'AGNESE IN AGONE
PALAZZO PAMPHILJ
La splendida Galleria fu progettata dal Borromini e affrescata da Pietro da Cortona.
Da "Storia dell'arte italiana" di Giulio Carlo Argan
"Francesco
Borromini (1559 -1667) è il grande avversario del Bernini; con la propria opera
ne contesta, punto per punto, la poetica universalistica. E’ un contrasto di
idee che, da parte del Borromini, è combattuto soprattutto sul terreno della
tecnica; mentre, da parte del Bernini è mantenuto sul piano dello stile, e
specialmente, del valore della immaginazione,
che, nel Borromini, sarebbe arbitraria e “chimerica”, eccitazione
fantastica senza fondamento nella storia.
Il Bernini possiede tutte le tecniche, il Borromini è soltanto
architetto. Le tecniche del Bernini discendono da una idea, realizzano
l’invenzione; la tecnica del Bernini è pura prassi. Il Bernini è sicuro del
successo delle proprie tecniche; la
tecnica del Borromini è ansiosa, tormentata, sempre insoddisfatta. Si sa che,
nel Seicento, tutti i problemi hanno una radice religiosa. Il Bernini è
persuaso di avere i9l dono della rivelazione; contempla Dio nel mondo e si
sente salvo. Il Borromini è come chi prega, invoca la grazia: sa perché prega,
è pieno di fervore, ma non sa se la grazia verrà. Tutta la sua opera corre sul
filo di questa ansia: un istante di minore tensione, un nulla, può farla
fallire. E allora sarebbe, come diceva Michelangelo, “peccato”.
Vi
sono singolari coincidenze tra la posizione ideale di Borromini e quella di
Caravaggio. Anche il Borromini è lombardo, cresciuto nel clima religioso
dell’ascetismo pratico del Borromeo; anche il Borromini, a Roma, si fa
sostenitore di una cultura settentrionale (prevalentemente palladiana e di una
prassi artistica che vale per se stessa e non per una teoria da cui dipenda;
anche il Borromini ha un carattere aspro, intransigente, violento. Finirà per
uccidersi in una crisi di angoscia. C’è tuttavia una differenza: il problema
della realtà, che3 assillava il Caravaggio, non esiste più. L’ha risolto il
Bernini (con cui Borromini lavora in san Pietro e in palazzo Barberini),
ponendo l’arte come immaginazione che si realizza, si sovrappone alla realtà,
la sostituisce. Tutto il problema si riduce all’immaginazione: è un conoscere o
un essere? Rivelazione o ricerca? Soddisfa all’impulso che la muove o tende senza fine a una trascendenza
irraggiungibile?
Per
il Borromini è ricerca tensione, rifiuto del mondo, volontà di trascenderlo. Il
Bernini si esprime per larghi discorsi allegorici, mira alla massima estensione
spaziale, muove grandi masse di luce e di ombra, sfrutta le possibilità
illusive della prospettiva. Il Borromini si esprime per simboli quasi ermetici;
mira alla massima contrazione spaziale, evita le masse, affila i profili e li
espone a una luce radente, inverte spesso la funzione della prospettiva,
servendosene per ridurre, invece che per protrarre lo spazio. Anche l’ambiente
dei due artisti è diverso; salvo un breve periodo di disgrazia sotto Innocenzo
X, il Bernini è l’artista della corte pontificia; il Borromini è ricercato
dagli ordini religiosi, specialmente da quelli, come i Filippini, che
prediligono la continuità della pratica ascetica. "
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