DESCRIZIONE
Con i suoi tre livelli, la basilica di San Pietro rappresenta il principale modello della incessante sovrapposizione architettonica che da più di duemila anni caratterizza la città di Roma.
In origine c'era il circo dell'imperatore Nerone. Poi, mentre le grandiose strutture andavano in degrado, diventò una necropoli dei cristiani, che crebbe intorno alla tomba di Pietro. Poi sorse una basilica nel nome del martire e nel ricordo della investitura divina: "Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa". Dal tempo del suo martirio, la tomba di Pietro è diventata il centro sacro del luogo. La basilica costantiniana era a cinque navate ed aveva un grande quadriportico. All'incrocio del transetto con la navata centrale si trova la tomba di San Pietro, fulcro tanto della prima che della seconda basilica. San Pietro fu crocefisso tra il 64 e il 67 e il suo corpo fu gettato in una fossa, su cui papa Anacleto fece erigere tra il 76 e l'88 un "trofeo", di cui si trova traccia in un documento del 199. Nel 315, due anni dopo l'editto di Milano, Costantino ordinò la costruzione della prima basilica, che fu consacrata da papa Silvestro II nel 326, ma il monumentale edificio fu portato a termine solo nel 346. L'imperatore volle che la basilica sorgesse dove si venerava la tomba di san Pietro.
Durante il Medio Evo, la Basilica Costantiniana aveva subito numerose modifiche, ma, nel XV secolo era diventata insufficiente; inoltre aveva gravi problemi statici. Nel 1452 Niccolò V incaricò il suo architetto Bernardo Rossellino di studiare un ampliamento. Il progetto interessava la zona del presbiterio, ma la sua esecuzione fu subito interrotta alla morte del pontefice.
Fu Giulio II che decise di ricostruire completamente la basilica, demolendo completamente la basilica costantiniana. Mentre procedevano le "distruzioni", quello che si poteva salvare, veniva conservato o donato come reliquia di quel millenario monumento. Il progetto fu affidato a Donato Bramante. Questi ideò una costruzione a croce greca, inserita in un quadrato per la presenza di quatto torri angolari; la copertura era costituita da una grande cupola centrale, poggiante su un tamburo con finestre, e da quattro piccole cupole laterali. I bracci della croce terminavano con absidi semicircolari sporgenti. Il 18 aprile 1506 Giulio II pose la prima pietra del nuovo edificio sotto il pilone della Veronica. Alla morte del Bramante (1514) erano terminati solo i quattro piloni e gli arconi di raccordo e Leone X incaricò Fra Giocondo da Verona e Giuliano da Sangallo di continuare i lavori. Alla morte di Fra Giocondo (1515) l'incarico passò a Raffaello. Il progetto fu però modificato e, pur conservando quanto Bramante aveva fatto, si progettò un edificio a croce latina. Alla morte di Raffaello (1520), i lavori furono continuati da Antonio da Sangallo, già aiuto di Raffaello, e da Baldassarre Peruzzi che tornarono alla croce greca. I lavori furono interrotti a causa del sacco di Roma e ripresi da Paolo III. Antonio da Sangallo presentò il modello di un edificio a croce greca, che fu accettato.
Ma la svolta avvenne quando Michelangelo diventò Direttore dei lavori e prese in pugno la situazione, rivoluzionando tutto il progetto. Ciò avvenne nel 1547, alla morte del Sangallo, quando aveva ormai 70 anni. Paolo III gli conferì il potere di modificare il progetto come meglio credeva e, nel 1549, lo nominò architetto a vita della fabbrica. Al progetto in corso di esecuzione, ispirato all'equilibrio rinascimentale, contrappose un progetto che evidenziava la drammaticità del suo genio. Tornò alla versione con pianta centrale che sottolineava l'impatto della cupola. In pratica, con la pianta a croce greca, la navata era lunga come gli attuali bracci: così la cupola era ben visibile dallo spazio antistante la facciata. Inoltre, arrotondò le quattro absidi, sostituì l'ordine corinzio al dorico previsto, aumentò lo slancio e l'altezza della futura cupola, impostò tutta la pianta sui quattro poderosi pilastri, destinati a sorreggere la cupola stessa. Quando Michelangelo morì (1564), la cupola non era ancora completa. Era stato completato il transetto sud, mentre era quasi compiuto il il tamburo della cupola. Fu Della Porta a portare a termine la costruzione della cupola. Nel 1588, sotto Sisto V, iniziò a voltare la cupola; nel 1590 l'impresa era compiuta e Gregorio XIV fece mettere in opera la lanterna.
Nel 1607, Paolo V Farnese ordinò improvvisamente di ampliare il tempio, dando l'incarico a Carlo Maderno. Ci furono violente polemiche contro questo "sacrilegio" che indubbiamente riduceva il valore volumetrico della cupola. Ma il povero architetto non poteva che obbedire e aggiunse tre campate a un braccio della croce, aumentando così la capacità ricettiva della basilica. Date le precarie condizioni statiche delle navate, si decise di abbatterla, preservando però i monumenti sepolcrali. I lavori di costruzione delle navate iniziarono nel 1607, secondo il progetto del Maderno a croce latina. Nel 1612 era terminata la facciata e nel 1615 la chiesa apparve completa alla ammirazione dei fedeli. Nonostante le modifiche, la grandiosa opera michelangiolesca si impone allo sguardo. Guardando la cupola dall'interno, si percepisce la possente nervatura, il fascio di energie racchiuse nelle strutture murarie che concorrono al miracolo architettonico del capolavoro michelangiolesco.
Si riportano e parole illuminanti di Giulio Carlo Argan nella "Storia dell'arte italiana".
"Per San Pietro, Michelangelo scarta i progetti elaborati da Raffaello, dal Peruzzi, dal Sangallo, e ritorna alla pianta centrale bramantesco: ma raccoglie i corpi in un unico corpo plastico che, con un crescente affrancarsi della spinta sul peso, si conclude nella grande cupola, che riassume e conclude tutto l'edificio. Quale significato avesse, per l'artista, quest'ultima colossale impresa si vede anche dalle sue lettere: teme di non riuscire a finirla, e il non finirla sarebbe colpa e vergogna. Nell'idearla, ha senz'altro pensato alla cupola del Brunelleschi per Santa Maria del Fiore che, come diceva l'Alberti, era ampia da coprire con la sua ombra tutti i popoli toscani; la sua sarà ampia da coprire tutti i popoli cristiani. Portata in alto dai corpi laterali che le si stringono intorno, si imposta su un tamburo con grandi finestre tra coppie di colonne fortemente sporgenti; é come una ruota dentata che morda nello spazio libero del cielo. Al di sopra, la curva della calotta (forse non esattamente interpretata da chi, dopo la morte del maestro, diresse la costruzione) esprime ad un tempo il peso della massa ed il suo rianimarsie tradursi in spinta verso l'alto con la tensione dei costoloni. All'interno, le coppie di pilastri piatti del tamburo non incastrano la forma nello spazio, come le colonne all'esterno: il loro ripetersi suggerisce invece un moto rotatorio, centrifugo, che dà alla cavità della calotta la continuità di un perenne girare intorno al centro prospettico-luminoso della lanterna. E' precisamente, ma proiettata in altezza, la stessa idea spaziale che si esprimeva, più drammaticamente, nel Giudizio Universale; ma, appunto, il dramma é più vicino alla conclusione, alla catarsi finale. E infatti, anche nella soria dell'ispirazione che trascorre ansiosa nell'opera di Michelangelo, la cupola é la catarsi: la catarsi del dramma dell'opera mai finita, la tomba di Giulio II. Sorge nello stesso sito, il sito sacro della tomba dell'Apostolo; é il centro ideale dellostesso edificio, il monumento simbolico dell'ecumene cristiana. Dell'ammasso di figure che cercavano di liberarsi del peso opprimente della materia, rimane solo l'impulso all'ascesa: al "prologo in terra" della tomba succede "l'epilogo in cielo" della cupola."
IMMAGINI
La cupola vista dal Quirinale
Transetto ed abside
San Pietro visto dal Palatino (Orti Farnesiani)
Vista della piazza dalla basilica
Deserto ai tempi del coronavirus
San Pietro visto dal Tevere
La coda dei visitatori all'ingresso della basilica
Baldacchino dell'altare pontificio sopra la tomba di S.Pietro (opera di Gian Lorenzo Bernini)
I cardinali partecipanti al conclave in San Pietro
San Pietro durante una cerimonia
Nuova illuminazione iGuzzini
La Pietà di Michelangelo
Navate
L'acquasantiera del Bernini
Scorcio interno
Una delle colonne a tortiglione che sorreggono il baldacchino sopra l'altare pontificio. Gianlorenzo Bernini cominciò i lavori poco prima del 1624 e li terminò solo nel 1633, date le difficoltà tecniche dell'opera tutta fusa in bronzo. In onore di papa Urbano VIII, Maffeo Barberini, che ha regnato dal 1623 al 1644, sciami di api appaiono delicatamente posate tra i viticci sopra le colonne, richiamandosi così all'imenottero dello stemma di famiglia. Sembra che, per raccogliere tutto il metallo necessario a fondere l'enorme baldacchino, Urbano VIII abbia ordinato di adoperare i bronzi del pronao del Pantheon: da questo fatto ebbe origine il malizioso detto: "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini".
Busto di Alessandro VII del Bernini
Tra il pontefice, Fabio Chigi, insigne umanista nato a Siena nel 1599 e l'illustre architetto-scultore, nato appena un anno prima, intercorse un rapporto di fiducia e di collaborazione, in particolare per quanto riguardava il progetto del porticato che introduce solennemente dentro alla basilica. Insieme essi decisero che il colonnato non avesse nessun intento funzionale, ma fosse un puro elemento architettonico di tipo esclusivamente esornativo. Il Bernini abbozzò in fretta il progetto e il papa andò di persona a vederlo e "non soltanto determinò l'altezza dell'opera, ma ne giudicò anche la forma, cosa che fece stupire l'architetto". Il papa rifiutò l'idea di un portico quadrato che, con l'altezza, avrebbe nascosto il palazzo pontificio e quindi impedito il rapporto diretto tra il papa e i fedeli per la solenne benedizione dalla finestra del piano nobile.
STRUTTURA DELLA BASILICA
Sepolture Necropoli cristiana
Necropoli cristiana
- Il tamburo della cupola ha un diametro di 42 metri. Quando Michelangelo morì, nel 1564, il tamburo era ormai quasi ultimato
- Sopra un muro rosso è stato possibile leggere: "Pietro è qui" e si sono scoperte le ossa dell'apostolo
- Attorno alla tomba di San Pietro c'erano molte sepolture dei primi secoli dell'era cristiana
- I resti della basilica cristiana, che si stendeva sul circo di Nerone, sono in parte conservati, interrati sotto la basilica di Costantino
- La maestosa facciata ha una larghezza di 114,69 metri e una altezza di 45,44 metri. Alla sommità si elevano 16 statue, alte ciascuna 6 metri
- La scalinata di accesso alla basilica è divisa in tre ripiani e ha ai lati le statue colossali di san Pietro e San Paolo.
- L'altare papale, sormontato dal baldacchino del Bernini, è illuminato da 99 lampade
- Fu necessario uno spesso riporto di terra, per ripianare il declivio del colle, su cui sorsero le due basiliche
Il progetto di Michelangelo
LA BASILICA COSTANTINIANA
Transetto Abside Cripta Entrata Pigna Campanile- La navata centrale era lunga 120 metri
- L'abside della prima basilica venne costruita tra il 315 e il 349 d.C. Fu distrutta per ordine di Giulio II e sostituita dalla attuale
- La cripta conteneva la tomba di San Pietro. Il colonnato appare nella versione gotica di Arnolfo di Cambio
- L'entrata della basilica si apriva su un maestoso quadriportico. Qui si sarebbero dovuti seppellire i papi, lasciando per umiltà solo le ossa del santo all'interno
- La grande pigna, di epoca romana, con pavoni di bronzo, fu poi sistemata nel cortile del Belvedere
- Il campanile della basilica risaliva al 752: era uno dei primi della capitale
- L'obelisco egiziano, che ornava il circo di Nerone, nel 1586 fu posto nel centro della piazza
- La cappella papale si trovava a sinistra entrando nella antica basilica costantiniana. Fu demolita nel 1607
LA CAPPELLA SISTINA
La Cappella Sistina
Papa Francesco ed i Cardinali nella Cappella Sistina (da L'Osservatore Romano)
Fumata bianca al comignolo della Sistina per l'elezione di Papa Francesco
Cappella Sistina: Il giudizio universale
"Nel 1534 Michelangelo torna a Roma e, due anni dopo, inizia a dipingere il Giudizio Universale, che sarà terminato nel 1541.
Per capire questa opera, che riflette la crisi di una grande coscienza, bisogna pensare alla estrema intensità con cui Michelangelo vive la situazione storica e all'angoscia, con cui vede avverarsi nella storia il destino tragico dell'umanità disgiunta da Dio e anelante al ritorno. Ha visto la fine di Firenze e, con essa, la fine della ideologia umanistica della libertà. La Roma che trova non è quella che aveva lasciato, illusa nel sogno della restauratio classica di Leone X. Il sacco del 1527 ha dissipato il mito dell'immunità storica della città delle rovine e delle reliquie e dimostrato che la lotta religiosa è ben altro che una disputa dottrinale. Paolo III è il papa della Controriforma, sul piano del dogma, ma anche della riforma della morale cattolica; e Michelangelo è ora legato al circolo di Vittoria Colonna e al suo circolo della riforma cattolica, secondo le idee del mistico spagnolo Juan de Valdès.
Il Giudizio è l'opera della crisi: ricapitola tutta l'opera precedente ed anticipa la successiva. Il nòcciolo tematico è quello della giovanile Tauromachia: un movimento di masse suscitato dal gesto divino; la tesi concettuale è l'identità di autorità e giustizia; il motivo tragico dominante è il destino dell'umanità, l'esito della storia. Dio giudice, nudo, atletico, senza alcuno degli attributi tradizionali di Cristo, è l'immagine della suprema giustizia, che neppure la pietà e la misericordia, rappresentata dalla Madonna implorante, può temperare. Rompendo con la tradizione iconografica, che collocava nel cielo Dio e la sua corte ed in basso, a destra e a sinistra, gli eletti ed i reprobi, Michelangelo concepisce la composizione come una massa di figure rotanti intorno a Cristo, la cui figura emerge is in un limbo di luce. Le figure nella parte alta sono santi e martiri; in basso, alcuni dannati lottano invano per sfuggire alla stretta dei diavoli, altri si pigiano sulla barca di Caronte, altri ancora si gettano sgomenti nel gorgo, e sulla sponda li attende Minosse. In alto, nelle lunette, angeli-geni recano simboli della Passione, quasi invocando vendetta. Lo sgomento invade anche i beati: la giustizia divina è diversa da quella umana, Dio solo ne conosce i motivi; e ne è arbitro, come della grazia. E già in questo si notacome nella coscienza di Michelangelo contrastino i motivi ideali della ortodossia e della riforma. Malgrado l'estrema delicatezza del tema, non ha avuto consiglieri; il solo punto di riferimento è, specialmente per l'Inferno, Dante. Del resto, più che un conflitto dottrinale, il Giudizio Universale è l'espressione dell'esperienza religiosa, della filosofia dell'artista. Nessuna facile filosofia del bene e del male, ma il contrasto tragico e sublime della colpa e della grazia: tutti sono colpevoli, ma tutti possono essere salvati. Tra Dio e umanità vi è una tensione inevitabile: lumanità non è piccola ed umile, ma gigantesca ed eroica, quasi superba, anche nella colpa e nella pena.
Dal punto di vista figurativo, si trattava di sostenere le gravi masse delle figure in uno spazio vuoto: bisognava dunque sviluppare entro le masse stesse una forza di spinta, un impeto di moto che le sottraesse all'inerzie, e riunire poi tutti i moti in un unico ritmo, continuo, che legasse in un vertice rotante le cadute e le spinte. A sinistra tutta è vorticosa salita, a destra discesa frenata; ma il giro è continuo, come il moto di una ruota, intorno allo spazo vuoto al centro. Ed è già la concezione dello spazio senza ordini di piani e di grandezze, quasi un gran vuoto generato da una forza centrifuga, che Michelangelo realizzerà nell'ultima e più sublime delle sue opere: la cupola di San Pietro. Da questo momento comincia ad allontanarsi dalla scultura; nell'ultimo tempo della sua vita, l'arte ideale è, per lui, l'architettura, la cui forma non esige la mediazione della figura umana e non implica la mimesi."
da Giulio Carlo Argan - Storia dell'arte italiana
VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA
Volta della Cappella Sistina
"Michelangelo accetta contro voglia l'incarico di decorare a fresco la volta della Sistina, che Giulio II gli affida nel 1508: sarà lui stesso, tuttavia, a sostituire a quello che gli era stato dato il programma ben più complesso, tematicamente e figurativamente, dell'attuale decorazione. Per la prima volta la concezione dottrinale è dell'artista; per la prima volta l'architettura dipinta non è soltanto cornice, ma parte integrante dell'opera, con un proprio significato; per la prima volta tutti gli elementi figurativi si fondono in una sintesi voluta di architettura, pittura e scultura. La diversa grandezza delle figure nei riquadri al sommo della volta dimostra che l'artista non cerca una unità prospettica e un effetto allusivo: probabilmente, da principio, non aveva neppure un progetto completo e l'opera è cresciuta con il precisarsi del concetto nel corso del lavoro.
L'architettura non è soltanto riquadratura della superficie: incatena la volta con una successione di archi e, con i pronunciati sporti delle membrature, stabilisce diversi livelli di profondità per l'inserzione delle figure. Si ha il senso di una spinta verso l'alto perchè la fascia con i Profeti e le Sibille pare il prolungamento delle pareti laterali; ma, al di sopra, lo spazio non sfonda, anzi si contrae nella stretta degli archi trasversali. Michelangelo si propone di dare una struttura architettonica al vano della Cappella; ma invece di svilupparla dal basso con un sistema di piedritti, la impone dall'alto, facendo così della volta, del cielo, la determinante dello spazio architettonico. E il cielo non è qui, lo spazio infinito oltre l'orizzonte terreno, ma è una costruzione dottrinale, il luogo ideale della genesi delle idee e del principio della storia. E' sostenuto dai Profeti e dalle Sibille, che rappresentano i momenti della intuizione del divino. Gli Ignudi sui plinti non vedono il cielo, a cui volgono le spalle, ma, nell'agitazione che li anima, ne intuiscono la presenza: sono "geni" e probabilmente rappresentano il mondo pagano. Nel dipingere, al sommo, le storie della Genesi, Michelangelo inverte l'ordine cronologico: si comincia con l'Ebbrezza di Noè per giungere all'immagine solitaria dell'Essere Supremo, ma segue un ordine ideale, perchè il divino "appare prima imprigionato nella forma imperfetta dell'uomo (Noè) per poi progressivamente assumere una forma sempre più perfetta fino a divenire un essere cosmico. Al senso biblico della sua opera volle sovrapporre un nuovo significato, un'interpretazione platonica della Genesi " (Tolnay). "
"Neoplatonico è infatti il pensiero dell'ascesa dell'anima all'intuizione del divino dei due fondamenti dottrinali del pensiero ebraico e del pensiero cristiano."
da Giulio Carlo Argan - Storia dell'arte italiana
DATE SALIENTI
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La volta della Cappella Sistina fu iniziata da
Michelangelo nel 1508 e terminata nel 1512. Il committente era Giulio II.
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Il Giudizio Universale fu dipinto nel periodo 1536 – 1541. Fu
commissionato da Clemente VII, ma dipinto principalmente durante il papato di
Paolo III. Daniele da Volterra fu poi incaricato di dipingere i famosi “braghettoni”
per coprire le nudità.
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Nel 1546 Michelangelo, ormai settantenne,
divenne direttore dei lavori per la costruzione della cupola di San Pietro. Nel
1564, quando l’artista morì, era stato ultimato il tamburo. Ciò garantiva
ormai la immutabilità del suo progetto.
LE SETTE STORIE DI MOSE'
Botticelli - Fatti della vita di Mosé
Cosimo Rosselli - La consegna delle tavole e adorazione del vitello d'oro
Perugino - Il battesimo di Cristo
Botticelli - Tentazioni di Cristo e purificazione del lebbroso
LE SETTE STORIE DI MOSE'
Le grandi scene affrescate che corrono sotto le finestre della Cappella Sistina, fanno parte di un progetto più vasto di ristrutturazione della precedente Cappella Palatina, voluto dal Pontefice Sisto IV Della Rovere. Firmarono il contratto in quattro: Perugino, supervisore del complesso della decorazione, Botticelli, Ghirlandaio, Rosselli. Quando Ghirlandaio tornò a Firenze, fu sostituito da Luca Signorelli. Il programma iconografico della decorazione è concettualmente molto arcaico: si rifà a quello delle basiliche paleocristiane romane, con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento e ritratti di papi. Le scene veterotestamentarie con scene della vita di Mosé, su una parete, prefigurano quelle neotestamentarie sulla parete di fronte. Mosé, capo del popolo ebraico, prefigura Cristo, Dio del popolo cristiano: ambedue richiamano la figura del Pontefice. Il significato di ogni scena è esplicitato dalle scritte poste sopra i dipinti. Nei sette fatti della vita di Mosé, per esempio, la scritta allude alla prova della sua fede che Dio richiese al profeta. Malgrado fosse l'artista meno innovativo del gruppo che giunse a Roma per decorare le pareti della Cappella Sistina, Cosimo Rosselli, a quanto sembra, era il preferito di Sisto IV. Egli è infatti il pittore più "decorativo" dei quattro maestri coinvolti nell'impresa. La grande profusione di oro nelle sue composizioni era gradita all'occhio del Pontefice, più sensibile agli effetti di forte impatto visivo che a raffinatezze formali meno appariscenti.
Gli episodi rappresentati in questo affresco sono: la Consegna delle Tavole della Legge, l'Adorazione del Vitello d'oro, Mosé che rompe le Tavole della Legge, il Castigo degli Idolatri, il Ritorno di Mosé con le Nuove Tavole. La composizione è, nei suoi vari episodi, affollatissima di personaggi, per lo più vestiti in abiti contemporanei. Gli abiti preziosi e coloratissimi, il deciso linearismo con cui vengono descritti i panneggi e il sinuoso movimento delle figure, sono tre elementi in cui si riconosce il retaggio tardo-gotico di Cosimo. A questa cultura figurativa si riferisce anche l'estremo naturalismo con cui è dipinta la vegetazione e, in particolare, le piante in primo piano, ad esempio quelle sotto la figura di Mosé.
BATTESIMO A LUCI SOFFUSE
Il dipinto rappresenta il Battesimo di Cristo in primo piano e sullo sfondo, a sinistra una predica del Battista, e una predica di Gesù a destra. Il dipinto nella organizzazione iconografica generale della Cappella Sistina, corrisponde alla rappresentazione del viaggio di Mosé in Egitto, sulla parete di fronte, sempre del Perugino. Il Battesimo di Cristo è impostato secondo un equilibrio rigoroso e simmetrico, con le figure riunite in quattro gruppi distinti e corrispondenti. In alto, domina la figura di Dio Padre, circondato da una corona di cherubini. Nell'esecuzione dell'affresco, Perugino si è servito largamente dell'aiuto di Pinturicchio: a parte le figure del Battista, di Cristo e dell'uomo che si denuda alla loro destra, tutte e tre sicuramente di mano del Perugino, il resto della composizione sarebbe di Pinturicchio. E' addirittura incerta la paternità del cartone dell'intero affresco. Come accade anche in altre scene di affreschi della Cappella Sistina, numerose figure presenti nella scena, sono ritratti di personaggi appartenenti alla corte pontificia, descritti con mirabile realismo. Sullo sfondo, il paesaggio montagnoso è dipinto con sfumature azzurrine di chiaro retaggio leonardesco. Anche questo brano sembra essere stato eseguito da Perugino. Come nell'affresco della consegna delle chiavi, Perugino sembra distaccarsi progressivamente dall'influenza di Piero della Francesca. Le figure infatti, pur conservando la monumentalità tipica di Piero, sembrano immerse in una luce più soffusa e sfumata.
SATANA TENTA CRISTO
Il significato di questo quadro non è ancora stato interpretato con esattezza. Le scene, inerenti alle tentazioni di Cristo, sono raffigurate sullo sfondo, nel registro superiore della composizione. Il demonio cerca di indurlo nei peccati di gola, di superbia e di avarizia. Sul primo piano si svolge invece una scena che alcuni hanno interpretato come la Purificazione del lebbroso e alri come una scena ad alto contenuto simbolico. Secondo questi ultimi, Mosé officia il sacrificio di fronte a Cristo, raffigurato nei panni di un giovane, destinato a redimere il genere umano, rinunciando alla propria vita. Anche nella decorazione della Cappella Sistina Botticelli rimane fedele ai suoi tratti stilistici più tipici. Il deciso linearismo, con cui descrive le figure, è particolarmente evidente nei due personaggi in primo piano.
MUSEI VATICANI
STANZA DELLA SEGNATURA
La disputa del Santissimo Sacramento
La stanza della Segnatura è la prima affrescata da Raffaello, su commissione di Giulio II che la adoperò come studio e biblioteca. Il programma iconografico è dedicato alla illustrazione delle grandi idee neoplatoniche, del Vero, del Bene e del Bello. Al tema del Vero alludono sia la disputa del Santissimo Sacramento, sia la Scuola di Atene, i due grandi affreschi affrontati nelle pareti lunghe della stanza. La Disputa del Santissimo Sacramento è il primo affresco che Raffaello dipinse in Vaticano. La Trinità con i profeti e i Santi del Vecchio e Nuovo Testamento seduti su un emiciclo di nuvole, domina la composizione. Sotto, la schiera dei teologi, antichi e contemporanei, fra i quali, per esempio, lo zio di Giulio II e Dante Alighieri. L'apparente naturalezza della scena è il risultato di una tecnica prodigiosa, con cui Raffaello sa organizzare una rappresentazione così complessa, basata sulla corrispondenza di due semicerchi, di figure. Sopra la finestra che dà sul cortile del Belvedere, è rappresentato il Bello: il Parnaso, dove ricompare, tra le figure che circondano Apollo, il ritratto di Dante Alighieri. La raffigurazione dell'affresco farebbe riferimento, secondo alcuni studiosi, al Mons Vaticanus, su cui si affaccia la finestra del Belvedere. Qui, in origine, secondo le fonti antiche, alla sommità del colle, si trovava un tempio antico, dedicato asd Apollo.
La scuola di Atene
Al tema del Vero, già affrontato da Raffaello nell'affresco della Disputa del Santissimo Sacramento, si riferisce anche la Scuola di Atene, posto sulla parete di fronte, forse il dipinto più famoso delle stanze vaticane. La Scuola di Atene rappresenta il Vero, elaborato dai filosofi. La scena raggruppa un gran numero di pensatori in un ambiente, in cui alcuni studiosi hanno voluto riconoscere una immagine del nuovo San Pietro. Al centro della composizione, Raffaello ha dipinto i due massimi filosofi della antichità, Platone e Aristotele. Il primo, descritto con le sembianze di Leonardo da Vinci, indica verso l'alto, cioè verso il mondo delle idee. Aristotele, a fianco a lui, tiene la mano a mezz'aria, come a indicare una via intermedia tra il mondo delle idee e quello delle cose. Il personaggio in primo piano, adagiato sui gradini, rappresenta Eraclito ed è il ritratto di Michelangelo. Raffaello l'avrebbe aggiunto all'affresco dopo avere visto una parte della volta della Sisina, decorata dal Buonarroti esattamente negli stessi anni. Nel cartone preparatorio della Scuola di Atene, conservato alla Pinacoteca Ambrosiana, infatti, Eraclito è assente. Il personaggio che disegna con il compasso per terra, e che rappresenta Euclide, è probabilmente il Bramante, il grande architetto allora impegnato nei lavori per la nuova basilica vaticana. le due figure all'estrema sinistra rappresentano il Sodoma, pittore della scuola senese, e lo stesso Raffaello. L'affresco ebbe un enorme successo agli occhi della corte di Giulio II, il quale, come ricorda Vasari, volle "...buttare a terra tutte le storie degli antichi maestri, vecchi e nuovi."
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Un capitolo a parte sono i ricchissimi Musei Vaticani, di cui proponiamo solo il Laocoonte.
IL VATICANO VISTO DALL'ESTERNO
Ecco poi alcune immagini delle mura vaticane
Uno degli ingressi del Vaticano
Il convento Mater Ecclesiae, dove si è ritirato Benedetto XVI
Vista dei giardini vaticani dalla cupola
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Castel Sant'Angelo
LA CASINA DI PIO IV
La Casina di Pio IV si trova nei Giardini Vaticani ed è sede della Pontificia Accademia delle Scienze. La costruzione fu iniziata nel 1558 per Paolo IV su progetto di Pirro Ligorio. Morto il pontefice, l'edificio fu terminato nel 1561 per Pio IV, che ne fece un luogo di ricreazione.E' costituito da due edifici anteposti e distinti, il primo dei quali, rivolto ai Palazzi Vaticani, è una specie di ninfeo fronteggiato da una fontana.
VISTE DEL QUARTIERE
Santa Maria in Traspontina
UN POCO DI STORIA
Da "Storia dell'età moderna" di Giorgio Spini
Rispetto alla Germania, davvero, sembra che Roma medicea faccia tutto il possibile per esasperare la situazione. Giulio II ha già bandito una indulgenza tra i fedeli, in cambio di offerte di denaro per riempire le casse eternamente vuote per cambiare le casse eternamente vuote del papato. Leone X riprenderà l'iniziativa, mescolandola con le manovre politico-finanziarie di un tipico esponente di quell'alto clero feudale, belligero e scostumato, contro cui si appuntano gli strali della critica erasmiana, nonché con il giro di affari della banca dei Fugger. A ventitré anni, un cadetto degli elettori del Brandeburgo, Alberto di Hohenzollern, ha già cumulato il titolo di arcivescovo di Magdeburgo e l'amministrazione del vescovato di Haslberstadt, con tutte le rendite e le giurisdizioni feudali, che questi due principati ecclesiastici comportano. Non sazio ancora, è riuscito
a farsi conferire dalla Santa Sede un terzo arcivescovato, quello di Magonza, a cui va annessa la dignità di elettore del Sacro Romano Impero. Onde pagare la colossale somma dovuta a Roma, sia per ottenere la dispensa relativa al cumulo di tante cariche sul proprio capo, sia per il versamento consueto della prima annata di redditi, imposto ad ogni nuovo titolare di vescovadi, l'Hohenzollern ha dovuto contrarre un grosso debito con i Fugger, Tra gli agenti romani di questi ultimi ed un alto esponente della burocrazia medicea, il cardinale Pucci, si è arrivati perciò ad un accordo, per cui li giovane prelato si è impegnato a promuovere la predicazione della indulgenza papale, per la durata di otto anni, nei tre principati ecclesiastici da lui conseguiti, col patto di versare metà del ricavato ai Fugger , a sgravio del proprio debito, e l'altra metà alla Curia romana. Nello stesso tempo, in cui Tommaso Moro stampa la sua Utopia ed Erasmo il suo Nuovo Testamento - come se fatti del genere non avessero la minima importanza - le piazze delle città tedesche cominciano a risuonare dell'impronta facondia del frate domenicano Tetzel, incaricato di fare la massima réclame possibile in mezzo al volgo credulone.
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Uno dei professori della neonata Università di Wittenberg, il padre Lutero dell'ordine agostiniano, si accorge, nella sua opera quotidiana di confessore, come tra i fedeli stia penetrando la pericolosa convinzione che la salvezza eterna possa comprarsi in denaro contante dal Tetzel. Doppiamente colpito nella sua responsabilità di pastore di anime e di teologo, Lutero decide di mettere sull'avviso i credenti, smascherando la losca speculazione intessuta da prelati senza vergogna, finanzieri rapaci e frati barattieri.
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L'abbandono della scolastica per la Bibbia e la celebrazione della interiore opera della fede, in paragone dell'apparato esteriore di una pietà sconfinante fin troppo spesso nella superstizione, rispondono senza dubbio a postulati della Philosophia Christi di Erasmo. Ma la scoperta dell'Evangelo, che in Erasmo è frutto di un processo culturale, è in Lutero lo sbocco di un processo religioso. Erasmo, in altre parole, resta un fatto del Rinascimento, cioè un intellettuale del XVI secolo, legato alla temperie particolare della sua età. Lutero si affaccia sulla scena come l'uomo di un eterno dramma di sofferenza e di redenzione, che si pone al di là deli tempi e della storia. Ma, come per uno straordinario paradosso, l'intellettuale del Rinascimento, pago delle trasparenze serene di una chiarificazione intellettuale, rimane sempre, in un certo senso, al margine della bufera del suo tempo. Martin Lutero, in apparenza tanto indifferente alla storia, si tufferà ben presto nel folto della mischia, a fianco degli altri uomini, impegnandosi senza riserve.
Dai corsi universitari sulla Theologia Crucis, alla decisione di intervenire nella questione delle indulgenze, vi è una continuità non interrotta. Il 31 ottobre 1517, il dottor Lutero fa affiggere sulla porta della cattedrale di Wittenberg, un elenco di 99 Tesi sulla questione delle indulgenze, offrendosi di sostenerle contro chiunque in pubblica disputa.
Il gesto, in se stesso, non ha nulla di particolarmente rivoluzionario, perché l'uso di sfidarsi l'un l'altro a pubblica disputaè tradizione secolare degli ambienti universitari. D'altra parte, sul punto specifico delle indulgenze, regna ancora una certa oscurità nel mondo teologico, in quanto gli uni sostengono che con esse il papa non intende fare altro che commutare in altera forma - l'offerta in denaro - quelle penitenze che solitamente la Chiesa impone ai peccatori come dimostrazione del loro ravvedimento, mentre altri teologi sostengono che l'indulgenza ha il potere, non solo di esentare da altre forme di penitenza, ma addirittura di commutare le pene che le anime dei defunti dovrebbero soffrire nel purgatorio. Nelle sue Tesi, pertanto, Lutero si limita a sostenere la prima alternativa, affermando che la remissione dei peccati appartiene a Dio solo, mentre al papa non appartiene altro che la commutazione delle penitenze, in quanto la sua autorità vale solo entro la sfera del diritto canonico e penitenziale, ma non può sostituirsi a quella di Dio. D'altronde, la salvezza eterna non giunge all'uomo per la minuta esecuzione di opere buone, ma per la interna contrizione dell'animo, illuminata dalla fede sull'abisso della propria malvagità e sulla efficacia immensa del sacrificio del Redentore.
Ma il problema delle indulgenze non è un problema astratto di metafisica, che interessi solo una cerchia minuscola di dotti: è un problema che coinvolge tutto il sistema dei rapporti tra clero e laicato e tra Germania e Roma. E' un problema che si inserisce profondamente nella situazione morale e politica della nazione tedesca. Il tuono di applausi, che saluta da ogni parte il gesto di Lutero, non lascia dubbi sul carattere di estrema attualità della questione. E soprattutto, a fare delle indulgenze una questione decisiva, ed a spingere la situazione sino alla rottura, contribuisce l'atteggiamento che Roma prende in materia, dopo che l'arcivescovo di Magonza ed i confratelli domenicani del Tetzel hanno sporto denuncia contro il Lutero, accusandolo di spandere dottrine ereticali. Alla corte medicea si considera l'intera faccenda come una bega di frati da liquidare al più presto e la Germania come un paese di barbari da rimettere a posto con una sbrigativa stretta di freni. Il processo contro Lutero è affidato al tribunale della Camera apostolica, vale a dire il ministero delle finanze papali. Il teologo di servizio, Silvestro Mazzolini da Prearo, inquisitore domenicano e censore papale per la provincia romana, cui viene affidato l'incarico di rispondere alle Tesi, non si degna neppure di dare soddisfazione alla opinione pubblica tedesca. Poiché il papa è infallibile - sostiene il domenicano - se i papi hanno creduto bene di concedere le indulgenze, bisogna accettarle senza discutere, qualunque ne sia il significato teologico. Chi si comporta altrimenti, è un eretico. Lutero taccia, se non vuole fare la fine di Jan Hus.
Con
la stessa rudezza frettolosa seguono poi, da parte della Santa Sede, la
definizione teologica del problema delle indulgenze, in senso contrario alle
tesi luterane, la preparazione di un decreto di condanna e l’ordine al
cardinale Gaetano, legato papale in Germania, di ottenere la ritrattazione dell’audace
o di intimargli la condanna stessa.
La
fretta, con cui Roma cerca di liquidare la faccenda del Lutero, si urta però
con la lentezza abituale, con cui l’elettore di Sassonia suole ruminare ogni
decisione. Proprio questa fretta, anzi, risveglia nel principe una profonda
diffidenza verso gli italiani, i Fugger, Roma e tutte le loro diavolerie: e se
poi si venisse a scoprire che il dottor Lutero aveva ragione? D’altra parte,
Germania rurale e Germania cittadina, una volta tanto, sono d’accordo nell’acclamare
al teologo di Wittenberg e nel vituperare Roma. Agli occhi del popolo, stanco
delle tristi gesta dei prelati come Alberto di Hohenzollern, Martin Lutero è l’eroe
della coscienza morale offesa, che si vuole fare tacere, perché non disturbi la
cuccagna dei corrotti e dei corruttori; agli occhi dei principi e del
nazionalismo tedesco, egli è l’avvocato delle ragioni della Germania, che Roma
vuole soffocare per continuare nel proprio sfruttamento finanziario; agli occhi
degli umanisti è il campione delle filologia evangelica contro gli scolastici, cioè
l’intelligenza che chiede di discutere, minacciata dall’oscurantismo barbarico
che vuole ricorrere alla forza. Roma stessa deve evitare di esasperare troppo l’opinione
pubblica tedesca, in questo momento, in cui è in gioco la corona imperiale. Se
vuole salvare dalla conquista asburgica il papato, l’Italia, Firenze medicea,
Leone X deve pure appoggiarsi su tutte le forze che possono impedire al nipote
di Massimiliano di cingere quella corona.
Davanti al papato mediceo comincia a profilarsi un dilemma preoccupante:
o esigere la testa di Martin Lutero a ogni costo, sino a romperla con i tedeschi
e fare il gioco degli Asburgo, col pericolo di subire il giogo austro-spagnolo
a Firenze ed a Roma; ovvero fare leva sul nazionalismo tedesco, per impedire l’elezione
imperiale del nipote di Massimiliano, e quindi venire a patti sulla questione
luterana, col rischio di pregiudicare l’autorità papale sul piano dottrinale e
gli interessi della Curia sul piano finanziario.
La
soluzione del dilemma sarà soltanto un doppio disastro, cioè la catastrofe del
sistema mediceo ed italiano in politica
e la crisi dell’autorità papale in religione, fra i laghi di sangue ed
il fumo degli incendi di una conflagrazione europea, destinata a protrarsi per
un intero quarantennio. L’abilissima cerchia fiorentina del papato mediceo si
rivelerà pietosamente impotente a padroneggiare il corso degli eventi o
soltanto ad interpretarlo. Per il momento, tuttavia, questa cerchia si attiene
al principio del “particulare” e cerca quindi di cattivarsi l’elettore di
Sassonia, a costo di mettere la sordina alla condanna del suo teologo. Anziché fulminare la condanna contro Lutero,
il cardinale Caetano accetta di avere con lui un abboccamento per indurlo a
ritrattarsi. Cosa abbastanza
significativa, la sede in cui avrà luogo il colloquio non sarà altro che il
palazzo augustano dei Fugger. Procurato dall’elettore di Sassonia, il colloquio
si svolgerà del resto sotto i suoi auspici
e con l’intervento di giuristi da lui inviati ad assistere Lutero con il
loro consiglio.
Dalla
dottrina della predestinazione, mutuata dai maestri occamisti della gioventù, e
da quella della giustificazione per fede,
attinta dalle epistole paoline e rafforzata poi dalla meditazione degli scritti
di Agostino, Lutero giunge alla sua conclusione più rivoluzionaria: la dottrina
del sacerdozio universale. Ogni
credente, in quanto redento dalla Grazia rigenerante che sgorga dalla Croce, è
sacerdote: ogni credente ha una vocazione da Dio, che attribuisce
responsabilità e dignità eterne al suo operare nel mondo. La concezione
gerarchica della società, derivante da quella dei rapporti tra naturale e
sovrannaturale della teologia degli ordini mendicanti, è sconvolta dalle
radici. Anziché come immensa scala
gerarchica degradante dal papa, vicario di Cristo sulla terra, alle autorità da
lui investite e finalmente alla massa dei sudditi, la cristianità si configura
come una unica famiglia di liberi ed eguali, sotto il suggello dell’universalismo
della Croce. Anziché spartita con invalicabile distinzione tra sacerdoti e
laici, essa si presenta come un insieme di vocazioni divine, che esercitano non più nel chiuso del
monachesimo ascetico, ma nel mondo stesso, come professioni, come lavoro, come
ministeri alla gloria di Dio.
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